Perché fare Personal Branding e come farlo davvero.
“Nel tuo mercato, il tuo nome e cognome sono un personal brand. Che tu ne sia consapevole o meno.”
Mi stai velatamente dicendo che devo preoccuparmi del mio personal branding?
Diciamocelo fuori dai denti, il personal branding è molto di moda negli ambienti markettari, markettistici o pseudo tali. Solo su Google.it “personal branding” è cercato 2.400 volte al mese, 40 volte al giorno. E stiamo parlando solo dell’Italia.
In effetti, l’ho appena cercato e sono finito proprio sul tuo sito.
Perché te ne sto parlando? Da alcuni anni collaboro con Stand Out la prima agenzia di personal branding in Italia (prima anche su Google, come puoi verificare agevolmente con una ricerca).
Bene, anche se il numero di clienti che si rivolge a questa struttura cresce continuamente, sul tema c’è ancora troppa poca informazione. Quindi, pubblicare una delle mie guide sull’argomento può sicuramente aiutare te, come chiunque altro capiti su quest’articolo, a schiarirsi le idee su:
- Qual è il significato di personal branding?
- Perché il personal branding è fondamentale oggi? E quali vantaggi offre?
- Cos’è la piramide del riconoscimento sociale?
- Come fare personal branding?
- Qual è il tassello più importante del personal branding?
Se poi leggendo, decidi di avviare un tuo percorso di personal branding e diventare una business celebrity, la mia email dedicata è l.bartoli@standout.agency
Ok, prima di scriverti voglio schiarirmi le idee.
Qual è il significato di personal branding?
Personalmente trovo algida la definizione di wikipedia “Il personal branding è l’attività con cui prima si consapevolizza e poi si struttura il proprio brand ovvero la propria marca personale” e poco operativa quella che danno alcuni siti italiani “Il tuo personal brand è la ragione per cui un cliente, un datore di lavoro o un partner ti sceglie“. Non è sbagliata è solo “poco operativa”.
Preferisco questa: “Fare Personal Branding significa applicare le strategie di marketing e di branding – comunemente riservate ai marchi più importanti e riconosciuti del mercato – al singolo individuo, professionista o imprenditore e trasformarlo in una business celebrity.” che ho scritto per il sito di Stand Out – The personal branding company.
Quindi preferisci la tua? Modesto…
Per formularla sono partito dalla definizione del CEO Gianluca Lo Stimolo, business celebrity builder, riconosciuto come il più grande esperto italiano del settore: “Fare personal branding significa creare una forte associazione mentale tra una competenza rilevante per un pubblico e la propria persona, tale da essere considerati la scelta N.1 in un preciso campo.“. A proposito, ti riporto un suo passaggio molto interessante sul tema.
Spiegato con parole mie e con la concretezza che mi contraddistingue:
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se sei un imprenditore leggi qui: mettiamo che tu produca bulloni. Ora i bulloni sono bulloni. Onestamente, anche se tu assumessi il miglior copywriter italiano o del mondo affinché si faccia venire in mente lo slogan migliore di sempre, tipo “Nessuno fa il bullo con i nostri bulloni“, abbinato a una foto fighissima del miglior fotografo di bulloni, non ti servirebbe a una mazza, men che meno rivolgerti a un’agenzia pubblicitaria pluripremiata.
Invece, fare personal branding potrebbe fare davvero la differenza: tu stesso o qualcuno per te potrebbe posizionarti come “il re dei bulloni“, il punto di riferimento del settore, lo specialista per eccellenza. E come sai, nel dubbio, la gente preferisce andare dallo specialista -
se sei un professionista leggi qui: mettiamo che tu eserciti una professione di quelle che quando dovevi decidere cosa fare da grande e ti sei iscritto all’università andavano stra-di-moda. Tipo l’avvocato. Ecco tu fai l’avvocato e come te ci sono 237.000 avvocati in Italia (4 ogni 1.000 abitanti). Finché sarai uno su 237.000 avvocati è statisticamente improbabile che la gente si rivolga proprio a te e che a farlo siano così tante persone da permetterti di alzare i prezzi al livello che ritieni congruo e, ancora meno, di avere così tanti potenziali clienti che ti cercano da permetterti di dedicarti solo alle cause che ti piacciono o ritieni etico seguire. Persino gli inquilini del condominio in cui ha sede il tuo studio non è detto ti scelgano. Drammatico, vero?
Ora, se iniziassi a fare personal branding (o assumessi qualcuno che lo fa per te) potresti diventare famoso come l’avvocato specializzato in un certo tipo di cause o che difende un certo tipo di clienti. Così che quando qualcuno deve fare un certo tipo di causa o un certo tipo di persona deve andare dall’avvocato, il primo nome che viene in mente sia proprio il tuo. Figo, vero?
In pratica fare personal branding significa prendere una persona, come te, e trasformarti in un’etichetta, un logo, un marchio… un brand se proprio non riesci a rinunciare all’anglismo da markettaro.
Ok, chiaro.
Perché il personal branding è fondamentale oggi? E quali vantaggi offre?
In realtà, lo è sempre stato, solo che non ne eravamo consapevoli. L’aspetto fondamentale è che, nella maggior parte dei casi:
“Le persone comprano dalle persone, non dalle aziende. E preferiscono quei prodotti (e servizi) in cui possono proiettare le caratteristiche e il carattere delle persone identificate come ideatori, fondatori, creatori, figure chiave ecc.”
Chi compra un prodotto Apple compra un po’ della passione (ossessione) per l’innovazione e il design di Steve Jobs.
Chi compra un jeans Diesel compra un pezzo dello spirito provocatorio di Franco Rosso.
Chi compra i tortellini di Giovanni Rana vuole gustare la sua rassicurante genuinità.
Chi compra un abito Valentino vuole indossare la sua eleganza.
Chi compra una Lamborghini vuole guidare lo spirito anticonformista e fuori dagli schemi del pioniere Ferruccio.
Chi commissiona una campagna a un’agenzia DDB (ovunque si trovi nel mondo) vuole ritrovare nei suoi annunci la genialità di William ‘Bill’ Bernbach.
E potrei continuare all’infinito…
No, fermati. Comunque, non ci avevo mai pensato ed effettivamente è così.
La ragione del perché queste preferenze possano fare la differenza nel mercato è legata ai limiti cognitivi e di attenzione dei consumatori. In pratica, per la maggior parte delle categorie di prodotti c’è posto per 1, massimo 2 marchi, raramente 3.
Pensa alle cole: il primo marchio è Cocacola, il secondo è Pepsi e il terzo… boh?! E guarda caso, Cocacola è un esempio di personal branding, fatto non sul fondatore, bensì su Babbo Natale, che prima di essere “adottato” dal brand era verde.
Carta assorbente? Scottex e poi…
Fast food? McDonald’s (personal branding), poi Burger King e il terzo? Il kebabbaro sotto casa.
Penne economiche? BIC e…
Pollo fritto? KFC (personal brand) e boh?
E come hai appena visto, quando tra i due o tre marchi c’è un personal brand, questo ha più possibilità di vincere.
Ok, ma da ora fermati con gli esempi: ne bastano un paio.
Oltre a queste maggiori chanches di vincere, i vantaggi del personal branding sono:
- la possibilità di sottrarsi alla guerra dei prezzi
- accedere a opportunità esclusive a cui i concorrenti non possono accedere
- rendere credibile un messaggio, poiché su quello ci si “mette la faccia“
- attrarre nuovi talenti, partner e fornitori di livello superiore
- doversi preoccupare di selezionare i propri clienti, piuttosto arrovellarsi su come averne a sufficienza
Ora mi stai dicendo che se non faccio personal branding, la mia vita (professionale) sarà un inferno?
Cos’è la piramide del riconsoscimento sociale?
Tutto quello che abbiamo appena visto per le aziende, nei vari settori merceologici, vale ancora di più per i professionisti, nei vari campi. In questo caso, a supportarci c’è una rappresentazione che aiuta a capire anche la distribuzione del numero di persone: la piramide del riconoscimento sociale.
Alla base ci sono tanti professionisti generici (quindi tanta concorrenza) e man mano si sale verso il punto di riferimento il numero di teste scende (mentre salgono onorario e fatturato), Quindi, se te lo stavi chiedendo, conviene essere in alto piuttosto che in basso.
Ok, ma un medico specialista mi costa molto più di un generico e un primario ancora di più. Quindi non conviene!
A meno che non sia io quel medico, che forse è il senso in cui me lo hai scritto…
A distinguere professionista generico, specialista, autorità, celebrità e punto di riferimento, sono principalmente due elementi che dovrebbero essere connessi tra loro: competenza e visibilità.
Quindi, a uno specialista è riconosciuta molta più competenza e gode di una maggiore visibilità di un professionista generico e così via.
E quando i due elementi non sono connessi? Esistono individui (“professionisti” in certi casi è eccessivo) che godono di alta visibilità ma che non hanno competenze, li chiameremo millantatori. E professionisti con altissima competenza e bassissima visibilità, li chiameremo incompresi. Andavano citati, l’ho fatto, quindi tornerei sulla nostra piramide, sul gradino più alto, per la precisione.
Grazie, tornaci prima che mi metta a pensare quanti millantatori conosco nel mio settore, che guadagnano più di me e inizio a sentirmi “incompreso”.
Per concludere, quante sono le persone che possono vantare lo status di “punto di riferimento” in un campo?
Solitamente 1, massimo 2 per campo, proprio come i brand nei settori merceologici.
Ad esempio, se ti chiedo di dirmi un nome di un critico d’arte, molto probabilmente il primo nome che ti viene in mente è quello di Vittorio Sgarbi, seguito (di parecchio) da quello di Philippe Daverio. E probabilmente, il terzo non è dato, esattamente come per Cocacola e Pepsi.
E, che ti stia simpatico oppure no non cambia, sarà molto più facile per te descrivere il carattere di Sgarbi piuttosto che quello di Daverio. Coincidenze? Io non credo.
Ecco, un solo esempio, chiaro e che si capisce. Grazie.
A ogni modo, è bene chiarire:
“Si può diventare una business celebrity, anche senza essere famosi nell’accezione più comune del termine. Dipende da quanto è grande la nicchia che si è deciso di presidiare e quanto questa è popolare.”
Ad esempio, una business celebrity b2b, con ogni probabilità, è meno conosciuta di una business celebrity in ambito b2c. Inoltre, se il tuo mercato è locale/regionale non c’è ragione di diventare famoso a livello nazionale/internazionale.
Quindi se divento il re dei bulloni di cui sopra, nessuno mi chiederà l’autografo e potrò continuare a girare per il centro?
Appurato che è fondamentale, che porta notevoli vantaggi, che in cima alla piramide si sta meglio che in fondo, passiamo a come si fa.
Come fare personal branding?
Operativamente per rendere qualcuno “famoso nel proprio settore” è necessario mettere in campo varie attività sinergiche, che insieme co-costruiscono un brand personale:
- si parte da una consulenza di orientamento e posizionamento del personal brand
- si analizza il business model
- si identifica un profilo del cliente ideale
- si identifica il nuovo brand e la nicchia di mercato di presidiare
- si crea una promessa al mercato e un’introduzione vincente, in grado di generare curiosità e interesse (elevator pitch per te che ami gli anglismi)
- si realizza una consulenza d’immagine e si identifica un proprio tratto distintivo a livello visivo (visual hammer)
- si fa un restyling del curriculum vitae per la creazione di un profilo personale che valorizzi il posizionamento definito
- si realizza un servizio fotografico professionale
- ci si forma a livello di media training e si realizza un video di presentazione
- si creano presentazioni professionali per la condivisione online
- si cercano le opportunità online, espresse attraverso le parole chiave più cercate nel settore
- si realizza un sito e sviluppa un blog, entrambi ottimizzati per le parole chiave più cercate nel settore
- si fa un restyling del profilo Linkedin
- si creano campagne di web per “farsi conoscersi” e/o “vendersi”
- se utile, si crea uno smartbook per valorizzare il posizionamento, lo si rende scaricabile e lo si usa per raccogliere contatti di persone potenzialmente interessate, lead generation per te che preferisci Shakespeare a Dante;
- se strategico, si elabora e si stende un libro sulla tematica definita dalla strategia di posizionamento, ricercando poi una casa editrice per la pubblicazione o lo si mette in vendita online
- si fanno attività di ufficio stampa e si intrattengono relazioni coi media
Ma è un sacco di roba ed è complicato, da solo non ce la faccio sicuro.
Come vedi sono attività molto diverse tra loro, che richiedono competenze differenti. Ecco, perché è necessario affidarsi a un’agenzia di personal branding che unisca al proprio interno varie competenze specifiche e specialistiche. E nel caso la mia email è sempre: l.bartoli@standout.agency
Quasi quasi mi hai convinto.
Qual è il tassello più importante del personal branding?
Esattamente come per il marketing e la comunicazione, l’aspetto più importante è il brand positioning: senza è come andare in guerra e sparare senza prendere la mira…
“Nel personal branding l’aspetto più importante è la promessa al mercato. “
È attraverso questa che si va a occupare una precisa posizione nella mente dei potenziali clienti. Questa è la chiave per essere rilevanti, ascoltati e ricordati. E voglio spingermi oltre:
“La probabilità di successo di un personal brand è proporzionale alla bravura nel trasmettere la promessa al mercato al proprio pubblico.”
Nella promessa al mercato c’è tutto:
- a chi ti rivolgi?
- cosa fai?
- come lo fai?
- perché scegliere te e non i tuoi concorrenti?
Di questo sono così convinto che, se vai nella mia homepage (per la maggior parte degli utenti il principale punto d’accesso al mio sito, quindi a me) trovi la mia promessa al mercato, in evidenza, subito dopo il mio nome e cognome:
Ciao, sono Luca Bartoli (info@lucabartoli.info) e aiuto aziende e professionisti a vendere di più, comunicando meglio con il loro pubblico.
Ed è proprio quello che faccio e che mi distingue dai chi utilizza il mio stesso job title, definendosi copywriter:
- Per me, per capirci, il punto di partenza è chi è il target di comunicazione, cosa cerca, chi trova al momento a soddisfarlo e come possiamo soddisfarlo ancora di più. Per studiarlo mi avvalgo di strumenti che la maggior parte dei miei colleghi ignora completamente.
- Successivamente, al fine di “comunicare meglio”, indipendentemente dalla richiesta del committente e dai mezzi coinvolti, il mio focus è su cosa comunicare: quindi sul posizionamento, la “differenza che fa la differenza“, che nella maggior parte dei casi sviluppo personalmente. E anche questo mi distingue dai miei concorrenti, che non ritengono il brand positioning una loro competenza.
- Terzo e ultimo passaggio, arriva il messaggio, coerente con il posizionamento, tarato sul mezzo migliore per raggiungere il pubblico e con un obiettivo ben chiaro: vendere di più. Ultimo anello di una catena, che è la “mia” catena.
Ok, chiaro.
Ora torna tutto, anche perché hai scritto questa guida.
Ora ti scrivo io a l.bartoli@standout.agency