Diventare copywriter: le lezioni di Maurizio Mercurio
Secondo capitolo del mio personale percorso da copywriter.
“Nella vita capita di essere al posto giusto al momento giusto“. Anzi riformulo: “nella vita capita di aver culo“. E’ più o meno quello che ho pensato ormai parecchi anni fa, quando al mio quarto anno di università ho incontrato Maurizio Mercurio, strategic planner in pensione con una carriera nelle più grandi agenzie dell’epoca (Pirella Göttsche, TBWA, Young&Rubicam giusto per fare qualche nome), dall’altra parte della cattedra. E sottolineo “culo”, perché quando mi iscrissi all’università, lui non era tra i docenti.
Un quasi copywriter a lezione di strategia
Ed eccomi lì, aspirante creativo pubblicitario a lezione di prodotto, marketing mix, persuasione, emozione, processo d’acquisto, comunicazione, pubblicità, marca, posizionamento e, soprattutto, strategie.
Inutile riportare tutte le lezioni, gli aneddoti, gli insegnamenti trasmessi nei mesi in aula e negli anni fuori dall’aula in cui ho avuto la fortuna di assorbire ogni goccia di mestiere che trasudava un uomo laureato nel ’71 in “mercatologia” (all’epoca non si chiamava “marketing”) e che aveva vissuto la sua carriera a costruire, smontare e rimontare marche. Un vero e proprio imprinting, che negli anni ha lasciato il segno, condizionandomi non poco e facendomi, spesso, sentire più vicine le esigenze strategiche rispetto alle velleità creative. Dicevo “inutile riportarle tutte“, non basterebbe un intero blog e se fosse un libro conterebbe più 489 pagine, quelle del suo “Strategie di comunicazione. Il vantaggio della differenza”.
Quindi mi concentrerò su un solo aspetto, come mi ha insegnato proprio lui, il più distintivo.
L’energia della differenza
Per Mercurio la distinzione dei ruoli è chiara: la strategia (frutto del marketing dell’azienda e/o del reparto planning dell’agenzia) si occupa del “cosa dire” mentre la creatività si occupa del “come dirlo”, è un lavoro di squadra, in cui tutta la squadra deve spingere dalla stessa parte.
Lanciare un prodotto nuovo, rivitalizzarne uno già sul mercato, ringiovanire una marca stanca, mantenere i volumi di fronte a un innalzamento di prezzo, qualunque sia l’obiettivo della pubblicità perché abbia impatto su memoria, conoscenza qualificata, consumo e fedeltà, la pubblicità deve essere capace di far emergere differenze.
“Le differenze sono energia vitale per il successo.
Le differenze sono la chiave per forzare il sistema, sfidare e portare la marca al successo”.
Il “cosa dire” deve essere frutto di vision intelligenti in grado di incuriosire il target, di indurre azioni e produrre reazioni e, soprattutto, di caratterizzare la marca in modo differente dai concorrenti.
“L’obiettivo è trovare, con una diversità stimolante, leve efficaci, in grado di scardinare la difesa dei concorrenti e l’indifferenza del consumatore”.
Ok, ma quando queste differenze-leva non ci sono sulla carta, ovvero nel prodotto, quando niente lo distingue dagli altri, quando manca una USP (unique selling proposition, ovvero un benefit per il consumatore, così forte da spingerlo all’acquisto, che nessun concorrente può offrire e su cui si deve concentrare la pubblicità) cosa si fa?
Per Mercurio, non ci sono dubbi, “se la ragione non dà spazio a differenze, bisogna cercarle – mi permetto di aggiungere “o crearle” – nell’emozione“. Nel modo di relazionarsi al consumatore, nel modo di raccontare i benefit (gli stessi dei competitors) e i valori di marca. Entriamo così nell’area del trattamento creativo.
A questo punto – musica per le mie orecchie – compito di chi è deputato al decidere “cosa dire” è eliminare i vincoli inutili, per quanto rassicuranti, per permettere alla marca di evolversi e riscoprirsi attraverso nuovi modi di “come dirlo”.